24 Febbraio 2022
Se la vita sembra giusta e se nonostante tutto sembra sbagliata: si è matti? Per lungo tempo G pensò proprio questo. Poi capii che era Egon.
(di Christine Zerres*, Immagini: Sara Casna)
*Proponiamo l’articolo scritto da Christine Zerres per il settimanale tedesco “Stern” raccontando la storia di Egon, genitore transgender che a fine settembre 2015 parteciperà alla “Settimana del Benessere Sessuale” a Torino.
A 38 anni G pensò di meritarsi la morte. Sensi di colpa la portarono quasi alla follia. Si svegliò la mattina, il marito dormiva ancora acconto a lei, e pensò: “E’ colpa mia se sono così infelice. Io, quella che ha tutto: due bambini fantastici, un uomo che mi ama, un lavoro da sogno.” Qualcosa non era giusto in lei, sbagliato, non c’era altra spiegazione. E tutto sommato lo sapeva già da sempre.
G incominciò a bere, già la mattina, per reggere. Dovette occuparsi dei cavalli della fattoria, nella quale lavorò insieme al marito, e dei suoi figli. Voleva essere una brava donna, una brava mamma. Ogni giorno questo le riuscì sempre più difficilmente. Finché tutto in lei esplose ed Egon ritornò nella sua vita, il suo Alter Ego.
Quattro anni più tardi G non esiste più. Egon è in mezzo alle piante di pomodori e melanzane degli “orti urbani”, gli orti comunali della sua città di nascita. Una volta li era tutto lasciato alla natura, adesso, su un’area di 6 ettari si cimentano giardinieri provetti. Oggi è festa fine estate, si discute, si griglia e si suona. Alcuni hanno improvvisato dei chioschi dove vendono borse e vestiti. Sul tavolo pieghevole di Egon sono esposti dei fogli illustrativi, “Parità delle specie” su uno, “Associazione genitori transessuali” sugli altri.
Accanto, su una coperta per terra resti della “vecchia” vita: magliette, pantaloncini, ballerina viola. “Una volta li portavo” dice e sorride. Chi non sa che Egon anni fa era G vede un uomo sui quaranta, non alto e con mani fini. Porta una maglietta nera: “Da vicino nessuno è normale” riporta la scritta. Pantaloncini a quadretti, scarpe blu, taglia 38. Sul mento spunta un po’ di barba, peli su braccia e gambe. I cappelli scuri li porta corti, solo alcune ciocche davanti le porta più lunghe. Solo il tono della voce scivola di tanto in tanto in una tonalità più alta. Sopratutto all’inizio di una frase, finché non si assesta a un tono più basso. Suona come se nel mutamento vocale.
“Mi dispiacque per la voce” racconta Egon. Era un soprano, cantò sempre volentieri. Pensò di registrare la sua voce per poterla ascoltare più avanti. Rituali per salutare G, l’io precedente. “E’ un po’ come un suicido dove si rimane in vita” dice. “Dovetti uccidere una parte di me e ovviamente per questo ero in lutto.”
Questi adesso sono pensieri lontani, Egon non ha più immagini di G.
Già da piccola bambina G, mentre cavalcava, si immaginò essere un cavaliere che gira per il paese. Non volle mai essere principessa o ballerina. Giocò con macchine piuttosto che con bambole. Quando sua madre la vestì con un vestito con fiocchi e ricci urlò dalla rabbia. Già li esisteva Egon. Così G chiamò il suo essere maschile nel quale sgattaiolò sempre, ma che tenne nascosto da tutti – era sicura che non era giusto quello che accadeva nella sua testa. Un pensiero che la accompagnò per anni, decenni, dovette arrivare ai 38 anni per riconoscere che era transgender.
G cresce nella classica famiglia italiana, in Toscana. Il padre guadagna, la madre si occupa delle tre figlie. Suo padre ha idee chiare su come deve essere una donna: femminile, dolce, calma. G, la seconda delle figlie, già da bambina si sente diversa. “Come cammini? Come parli? Siediti in modo diverso! Sembri un giocatore di rugby.” Queste le parole che si sente dire. Non riesce a identificarsi. G pensa solo: “Non sono una vera bambina.”
Al ginnasio si innamora di una sua compagna di classe – ma anche alcuni ragazzi le piacciono. “Sono bisessuale.” Conclude. Questo le fà paura. Omosessuale è abbastanza grave, ma sentirsi attratta da entrambi sessi? E’ da matti! Nella pubertà, quando le cresce il seno, G si trova davanti allo specchio a pensare quanto bella sarebbe senza. Ma mai pensa “Questi devono sparire, voglio diventare uomo”. Non aveva mai sentito di transessualità. I complessi che ha per via del suo aspetto le butta sulla fase della vita e di crescita che sta vivendo, così succede a tutti. Sono tempi duri, si ribella, si azzuffa con ragazzi, contesta gli insegnanti. Solo i voti sono sempre ottimi.
G ha la sua prima relazione con un uomo, per quattro anni, mentre studia filosofia a Pisa. A volte lo trucca, lo traveste da donna. Lui lascia fare. Poi ha anche amiche. Lei stessa si veste in modo mascolino. Una volta, a 24 anni, sua nonna le chiede:
“Bambina, sembri un uomo. Prendi per caso ormoni?” G è sorpresa. Ovviamente non li prende, non sa neanche che una cosa del genere è possibile.
Quando non è in aula, si occupa di cavalli e impartisce lezioni – questi animali sono la sua grande passione. Dopo aver concluso gli studi universitari decide di far di questa passione la sua professione. E in questo modo conosce il suo futuro marito: lavorano insieme nel maneggio. E’ più giovane di lei di dieci anni, ha appena 20 anni e un giorno confessa a G il suo amore. Lei è sorpresa, però si impegna, sta volentieri insieme a lui, s’innamora sempre di più. Il senso di stabilità che porta nella sua vita le piace, le serve perché continua il suo sentimento di insicurezza senza saperne il perché.
Dopo un anno nasce il primo figlio. E anche se non volle mai sposarsi, G adesso ci pensa: adesso è giusto, soprattutto per il bimbo. Dopo altri tre anni nasce la figlia. E tutto è come dovrebbe essere. Solo che quello che G sente stona in questa vita perfetta.
EGON VUOLE EMERGERE, NON LO PUO’ PIU’ NASCONDERE
G si rifugia nel suo mondo di fantasia, come a suo tempo da bambina. Solo che adesso non è più un gioco. Egon è più forte di prima. Spinge di uscire e lei non riesce più a nasconderlo. G inizia a fare delle ricerche – la presa di coscienza la colpisce: sono trans. Poi il bere, i pensieri di suicidio.
Quando la vita di G è in bilico improvvisamente prova compassione per Egon, che conosce già da bambina. “Non posso uccidere anche lui. Non ha neanche potuto vivere.”
Durante una escursione del fine settimana G confessa tutto a suo marito. Gli racconta che così non può continuare a vivere. Che non vuole essere più donna.
L’ascolta. L’accompagna ai primi colloqui di consulenza a Firenze. Ma quando capisce le queste persone non vogliono farla guarire in modo che sia come prima, ma che al contrario le aiutano a diventare un uomo, capisce:
“Non posso più stare insieme a te, sono etero.” Ma dice anche: “Sono il tuo migliore amico”. Tutti due pensano di separarsi rimanendo in buoni rapporti, di poter essere comunque uno per l’altro. Solo poco dopo si accorgono: ci siamo sbagliati.
Quando G incomincia a prendere gli ormoni, a cambiare, mettersi le fasce al seno, a farsi chiamare Egon cambia l’umore della coppia. Suo marito si sente ferito, la separazione diventa conflittuale, alla fine G scappa. La sua vita, famiglia, lavoro, tutto questo svanisce. Ma non ha scelta: G deve scomparire in modo che Egon possa vivere.
Sopra i giardini occupati tramonta il sole, tempo di cena. M., la compagna di Egon ha cucinato per tutto il giorno: vegano, cosi come piace a Egon e a lei: Couscous con verdure, seitan al curry, stufato di carote. Tutti e due sono animalisti appassionati, Egon non cavalca più, dice che i cavalli ne soffrono. Amici hanno presentato Egon e Michela due anni fà. I due realizzano subito che si appartengono.
Su un tavolo preparano le pietanze. Dietro loro la grigliata con salsiccie e steaks. Un uomo forzuto, a torso nudo e con tatuaggi se la prende a voce alta con Egon: questa tavolata è preparata per carne non c’è posto per contorni. Egon non gli risponde. L’uno davanti all’altro, il tatuato con la mano sul fianco ed Egon che in modo pensieroso inclina la testa lateralmente. Poi, senza fretta, prende le sue pietanze vegane e le porta al tavolo secondario.
Uomini macho che grigliano carne – a Egon non può interessare. Sopratutto in Italia i vegani vengono visti come deboli e poco maschili. “Non era mai nelle mie ambizioni ad adeguarmi ad una visione arcaica del mondo maschile” dice. “Non mi servivano neanche le gambe pelose – non l’ho mai trovato bello.” Ma l’aspetto esteriore serve per identificarsi nella società come uomo.
“Per una persona trans la cosa più importante è essere identificato dal mondo per quello che vuole essere.” racconta Egon. “Non mi porta niente sentirmi uomo, ma visivamente non passare per tale.” Su un’isola deserta, senza norme sociali, chissà se a Egon servivano i cambiamenti? La barbetta, i cappelli. Si è fatto togliere anche i seni. Tutto questo l’ha portato definitivamente vicino alla sua meta: se adesso entra in un negozio viene salutato come uomo. E questo lo rende felice.
Questo però sono le cose che le persone della sua famiglia – madre, padre, sorelle, ex-marito e suocera – non vogliono capire. Frequentemente gli hanno chiesto di essere e di comportarsi almeno in casa come una donna. O vivere la sua identità in una relazione omosessuale (lesbica). Sempre meglio di quello che ha fatto alla loro G. Tre anni fa, quando la sua decisione era già chiara, portò sua madre la sera a casa e lei chiese: “Stai pensando a qualche stupidaggine?” Aveva sentito la tensione tra la coppia. Quando poi la figlia le raccontò la stupidaggine che aveva in testa, il mondo le crollò addosso.
LA MADRE DICE: “MI SEMBRO’ PEGGIOR COSA CHE MI POTEVA CAPITARE”
L amadre si ricorda bene. Sta seduta nella cucina. Lacrime scendono lungo le sue guancie. “Perchè a me?” pensai. “Mi sembra la cosa più brutta che mi poteva succedere”. Batte sulle cosce di Egon.
Un gesto tra affetto e rabbia. Egon guarda per terra e si costringe a un sorriso. Sembra stanco, queste parole le ha dovuto sentire tante volte. Per un anno intero sua madre piangendo gli rinfacciò che gli stà togliendo la sua figlia, che cosi uccide G. “Non ha capito che io, come persona, come sua figlia, sto davanti a lei e che devo semplicemente fare questo percorso. “In questo Egon era sempre parte di G, ma non lo conoscevo” dice silenziosamente la madre.
“Se io, sua mamma, non lo accetto, chi altro?” Ma è difficile. Di tanto in tanto le scappa ancora il “lei”. “Lui, lei o comunque come devo dirlo adesso.” lo dice in modo ostinato.
Tutt’ora non riesce a comprendere che questo Egon le ha portato via sua figlia. E poi, Egon, che nome è? “Non ti chiamerò mai così.”
“Chiamami come vuoi, mamma.”
“La mia piccola bambina rosa.” con lacrime negli occhi.
Fino a oggi il padre non parla una parola con Egon. “Lui proprio non lo riesce a capire.” dice la madre. “Siamo una generazione diversa. Ai nostri tempi non sapevamo neanche che esistono omosessuali.” Solo rimanere calmi, pazienza, pazienza, le cose si sistemeranno, si ripete sempre. Soffre che il marito si gira dall’altra parte. “Se non ci fossi io, G per lui probabilmente sarebbe morta.” dice. Tuttavia, il padre ha procurato a Egon un lavoro nel suo negozio. Quando Egon lasciò suo marito, perse anche il lavoro alla fattoria, che amò così tanto. Trovarne uno nuovo è difficile, secondo suo passaporto è sempre una donna.
Qualche tempo fà Egon era a una conferenza in una scuola sul tema “transsessualità” – e pianse fortemente.
“Pensai improvvisamente: se a suo tempo una cosa del genere sarebbe stata fatta nella mia scuola, quanto diverso avrebbe potuto essere la mia vita?”. Però probabilmente allora non ci sarebbero stati quei due figli splendidi che ha adesso, se si fosse deciso per l’essere uomo già a 20 anni. Questo ne vuole ne può immaginarselo.
I nipotini. La maggiore preoccupazione della nonna. Che soffrano, che possano prendere danni a causa della trasformazione della loro madre. Egon rimane in silenzio. Conosce questa canzone a memoria.
“Ovviamente questo preoccupa anche me” racconta più tardi, di ritorno nel suo appartamento. “La mia famiglia mi ricorda sempre questo.” Non gli perdonerà mai di avere avuto due figli in queste condizioni gli contestò sua mamma una volta. I bimbi prenderanno droghe, perché non riescono ad affrontare questa situazione, continuò una delle sue sorelle. C’erano momenti dove Egon si sentiva così solo, da non sapere come andare avanti. Sopratutto all’inizio del percorso, quando iniziò la terapia ormonale. Era il periodo nel quale Egon conobbe la fotografa Sara Casna. I due trovarono subito intesa. Sara racconta della proposta di Egon di documentare la sua trasformazione. Quindi iniziò a fotografarlo. Per due anni.
C’erano tempi molto bui. Egon cadde in depressione, quando inizialmente tutti si allontanarono da lui. Senza la sua terapeuta e antidepressiva non sarebbe riuscito a passare questo periodo, di questo oggi ne è certo. Anche Sara Casna si ricorda che a volte dovette rimanere più giorni da lui e aspettare, finché stesse meglio e lei poteva provare a tirare fuori la macchina fotografica. “Per me queste foto erano una possibilità di poter riuscire a gestire la mia paura.” dice Egon. La paura di perdere se stessi, di non riconoscersi più. La paura di cosa succede ai bambini, se la mamma si trasforma in questo modo. “Nelle foto di Sara potevo vedere che ero la stessa persona.”
Un’altra preoccupazione tartassò Egon. I medici gli dissero, che il testosterone potrebbe cambiare la sua psiche. Questo gli dispiaceva, essere strutturato come donna gli andava bene. Per fortuna la predizione dei medici non si confermò.
Insieme al testosterone è aumentata anche la sua libido, dice Egon. Allo stesso tempo è più facile soddisfarsi: prima, come G aveva fatto una gran storia attorno alla masturbazione. Per arrivare alla situazione giusta dovette immaginarsi una storia intera. Oggi si masturba ed è fatta.
Egon sottlinea questo annedotto con un gesto italiano: batte due volte le mani, una volta la mano sinistra sopra, una volta quella destra. Significa: fatto – finito, riuscito. Sorride.
Nel scorso anno il rapporto tra gli ex-coniugi è migliorato. Seguono una mediazione famigliare.
L’appartamento dove vivono Egon e i suoi figli appartenne alla sua nonna. Dopo la sua morte i due poterono trasferirsi li, in questo modo risparmiano sull’affitto. Un’enorme sollevio economico visto che per la coppia è difficile trovare lavori lucrativi. Davanti alla camera letto un’angolo per i bimbi con un tavolino con sopra colori per disegnare, gioccattoli e una bacheca. Sulla quale appuntato un foglio “Mamma, ti vorrò sempre bene” scritto con pennarello rosso. Arrivano i bambini “Mamma, ho un regalo per te” esclama la figlia. Porta maglietta e shorts color fuchsia, adora questo colore. Egon le dà un bacio e ammira il foglio con disegnato delle viole che gli ha fatto. La bambina poggia la sua mano sul torace, li, dove una volta c’era il seno.
“PER UN’UOMO HAI IL SENO TROPPO GRANDE, MAMMA”
I figli chiamano Egon sempre mamma e parlano di lui nella forma femminile. “Devono fare così come se la sentono” dice Egon. Anche se a volte questo causa delle situazioni imbarazzanti. Come per esempio in strada, quando i bambini lo chiamano “mamma” e la gente che sconcertata guarda verso questa mamma. La terapeuta di Egon consigliò di aspettare e di lasciar decidere i bambini, quando avrebbero avuto delle domande da fare o su come chiamarlo. Lo calmò anche quando aveva paura per il benessere dei figli. Per i due è importante capire che non perdono la loro mamma, anche se adesso il suo aspetto è diverso.
All’inizio per Egon era difficile non spiegarsi ai figli. “E per tanto tempo non hanno chiesto niente. Sono quasi impazzito.” Ma un giorno, mentre mangiavano, il figlio chiede “Mamma, perchè al lavoro ti chiamano tutti improvvisamente Egon?” E allora Egon spieghò cosa gli stava succedendo. Man mano il bimbo fece domande e sembrò in questo molto più naturale che i grandi della famiglia. “Per un’uomo hai un seno troppo grande mamma.” confermò. “Giusto” gli risponde Egon. “Per questo me lo faccio togliere.” Spiegazione del tutto logica per lui.
Egon osserva i suoi figli attentamente, in modo da poter reagire, se dovessero perdere i loro equilibri. E poi la sua paura grande è che possano essere presi in giro per causa sua. O che gli dicano “Ti odio perchè sei transsessuale.”
Ma Egon ha imparato che non può influenzare tutto. Come il fatto che nessuno della sua famiglia lo chiama per il suo nome da maschio. Anche le sue sorelle insistono nel chiamarlo G. Egon non riesce a spiegarselo, da loro si sarebbe aspettato più comprensione. Quando ne parla gli rispondono che non riescono a sopportare la perdita della loro sorella. Neanche una volta gli hanno chiesto come stava, o cosa deve ancora affrontare nel suo percorso. Egon scuote le spalle. Il suo mondo interiore è adesso bilanciato dice. Se solo il mondo esterno, le persone che gli stanno vicino potrebbero accettare questo.
La bimba corre nel salotto. Egon e suo figlio si siedono a tavola e giocano a scacchi. A volte al bimbo scappa un “lui” quando parla di sua mamma. Poi si corregge e ripete la frase con “lei”. A volte succede allo stesso Egon e parla al femminile, ma già nella frase successiva parla dei tempi quando era ancora un ragazzino.