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7 Aprile 2023

 Il 17 febbraio si è svolta a Torino la tavola rotonda sul tema “Fare figli con chi? Prospettive e futuro per l’omogenitorialità in Italia” ha visto esponenti del mondo universitario e i dei componenti delle associazioni RGR e FA mettere in evidenza cosa sia effettivamente importante nella creazione di un nucleo familiare.

Emergono quindi i seguenti spunti di riflessione:

· · La figliazione nasce come un desiderio, bisogna pertanto dare opportunità alle tante forme di accudimento e cura che vedono adulto e minore coinvolti

· · Esiste un diritto alla Felicità, di cui forse si tiene poco conto, nell’autodeterminare il proprio nucleo

· · Per avere parità di diritti, ci vuole la tutela del nascituro e/o del nato perché non siamo solo biologia ma relazioni affettive, che non vedono solo legami diretti, ad esempio le adozioni

· · La medicina ha aperto alla possibilità di procreazione che tramite il consenso informato rende unico l’impegno che si sta prendendo. Questo vale per le persone eterosessuali, che possono usufruire di questo trattamento nel nostro paese, che per le persone omosessuali, che però ne usufruiscono all’estero

· · Mettere al mondo dei figli, a prescindere dal processo riproduttivo in sé, è un dono che si fa alla società, non un gesto esclusivamente ad uso proprio

Il tutto e molto ancora ha portato alla considerazione che

· · Lo stato non è di aiuto nel percorso che non rientrino negli standard riconosciuti come eteronormati

· · Forse andrebbe presa in considerazione una revisione delle norme ad oggi presenti

Data la disponibilità del Professore Javi Gonzalez Diez, Antropologo dell’Università di Torino, presente alla tavola rotonda, abbiamo deciso di fare alcune domande nel tentativo di allargare il tema anche per i non presenti all’evento:

RGR: Quali sfumature assume l’idea di genitorialita’ da un punto di vista antropologico?

Se parliamo di genitorialità da un punto di vista antropologico, bisogna innanzitutto distinguere fra “genitor/genitrix”, e padre/madre. Il “genitor/genitrix” è colui che genera un figlio o una figlia biologicamente: un uomo che ha messo incinta una donna, o una donna che ha partorito un bambino/a. Quello che le ricerche antropologiche ci dicono, però, è che mettere al mondo un bambino/a, non significa automaticamente diventare immediatamente padri o madri. Il ruolo di padre o madre è il risultato di un lungo cammino di accudimento, cura ed educazione da parte di un adulto nei confronti di un bambino/a. Molte società studiate dagli antropologi, come per esempio le popolazioni indigene delle Ande o dell’Oceania, considerano che la relazione affettiva e sociale che unisce padri e figli sia molto più importante del legame biologico di origine: è attraverso il prendersi cura quotidianamente gli uni degli altri che si costruisce il vero rapporto fra le persone. Questo vuol dire che anche persone non relazionate biologicamente fra loro possono costruire un rapporto di genitorialità/filiazione, come è il caso dell’adozione: l’importante, è l’investimento di “lavoro emozionale” che si fa nel tempo, nel prendersi cura gli uni degli altri.

RGR: Concezione legale e concezione antropologica della genitorialità, che differenza nei due approcci?

Le norme legali stabiliscono chi può essere considerato genitore e chi no, a partire da una serie di criteri pre-stabiliti: questi possono essere o la filiazione biologica, oppure l’adozione legale. In entrambi i casi, una persona è riconosciuta automaticamente come genitore una volta che sono stati accertati i requisiti, se li soddisfa o no. Da un punto di vista antropologico, invece, diventare genitori non è un qualcosa di automatico se si soddisfano dei requisiti legali: è invece il risultato di un processo di cura ed educazione spesso molto lungo e impegnativo, riconosciuto dalla società. Ci possono essere modi molto diversi di diventare genitori, che le norme legali non tengono in conto: questo è il caso per esempio dell’Italia, dove non si può più registrare all’anagrafe un bambino/a con due padri o due madri. È paradossale, perché fa sì che molte persone che, di fatto, svolgono il ruolo e le funzioni di genitore, e che sono considerati tali dai figli stessi, diventano invece invisibili legalmente: il loro legame affettivo o il lavoro di accudimento che portano avanti, non è riconosciuto dallo Stato, per il quale essi sono dei completi estranei.

– RGR: Quali le “funzioni” della genitorialità? Differenze e analogie di essere genitori nei diversi modi di “fare famiglia”

Nella vasta gamma di società e culture studiate dagli antropologi, la genitorialità è sempre associata al lavoro di accudimento, cura ed educazione dei bambini/e. Queste funzioni, possono però essere svolte da tipi di genitori molto diversi. Nel suo libro Contro natura. Una lettera al papa (2008), l’antropologo Francesco Remotti porta una serie di esempi molto diversi di “fare famiglia”: famiglie con più madri, come in molti popoli africani, o con più padri che condividono la genitorialità, come in Nepal e Tibet; famiglie nelle quali il ruolo di padre è svolto dallo zio materno, come nel caso delle Isole Trobriand o dei Na della Cina; famiglie con solo madri, come fra i Nuer del Sudan; infine, le famiglie omogenitoriali, che conosciamo bene anche nella nostra società. Ci sono tanti modi diversi di organizzarsi, pensiamo per esempio alle famiglie dei migranti in America Latina, nelle quali chi assolve i ruoli di genitori possono essere le nonne o i nonni, gli zii e le zie, o persino i fratelli o le sorelle maggiori. Il punto importante che segnalano gli antropologi è che non ci sono figure predeterminate a diventare padri o madri “per natura”: molte persone diverse possono diventare genitori, l’importante è che riescano ad assolvere in maniera adeguata le funzioni di cura ed accudimento nei confronti dei bambini/e.

– RGR: Omogenitorialità e pregiudizi, una chiave di lettura antropologica.

Le ricerche degli antropologi hanno messo in luce ormai da tempo che l’omogenitorialità è una delle tante forme possibili di “fare famiglia”, e che i pregiudizi su di essa sono infondati. Nel 2004, il presidente degli Stati Uniti Bush dichiarò che la famiglia “naturale” doveva essere composta da un padre e da una madre. Il giorno dopo, l’Associazione Americana di Antropologia (AAA), la più importante a livello mondiale, fece uscire una dichiarazione pubblica, nella quale si scriveva che i risultati di più di un secolo di ricerche antropologiche dimostravano che «una vasta gamma di tipi di famiglie, comprese le famiglie basate su unioni di tipo omosessuale, possono contribuire a società stabili e umane». Poco dopo, anche l’Associazione di Psicologia Americana (APA) fece uscire una dichiarazione simile. Nonostante ciò, circolano ancora tanti pregiudizi e falsità, come per esempio le recenti dichiarazioni della ministra per la Famiglia Eugenia Roccella, che ha detto che «un bambino ha diritto ad avere una mamma e un papà, perché è quello che tutti gli psicologi dicono». È incredibile che, venti anni dopo, ci siano personaggi politici che continuano a diffondere questi pregiudizi scientificamente infondati contro le famiglie omogenitoriali. Il compito degli studiosi, antropologi e psicologi per primi, è di continuare a ricordare che ciò che è importante non è il sesso o genere dei genitori, ma la qualità del rapporto che riescono a instaurare con i figli. Questo ci dicono le ricerche scientifiche, e questo bisognerebbe accettare a livello sociale e legale.

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