TRANS CON FIGLX: RICALCOLO PERCORSO

12 Maggio 2023

Testo di Egon Botteghi – Relatore e referente per la genitorialità delle persone Trans* di RGR – Genova 12 maggio 2023


Buongiorno a tutte,
ringrazio Rete Lenford per l’invito, sono molto grato di essere qui con voi per ascoltare e
imparare e per contribuire con la mia testimonianza.
Io mi chiamo Egon Botteghi, sono una persona trans* con un figlio e una figlia adolescenti,
il pronome che uso per me è maschile mentre quando parlo ad una platea mista uso il
plurale femminile.
Faccio parte dell’associazione di volontariato nazionale Rete Genitori Rainbow
in cui rivesto il ruolo di referente nazionale per la genitorialità delle persone trans* e sono
facilitatore del gruppo di auto mutuo aiuto per genitori trans* che l’associazione organizza
una volta al mese da due anni, online e di cui fanno parte genitori trans provenienti da
tutta Italia.
Sono anche responsabile dello sportello per persone trans* e loro familiari del centro
ascolto LGBTQ+ L’Approdo del comune di Livorno.
L’associazione RGR è una associazione nata 11 anni fa, che riunisce persone LGBTQ che
hanno avuto figli/e da relazioni avute prima del coming out come persone omosessuali,
bisessuali o transgender, spesso da matrimoni etero e che quindi devono affrontare
problematiche specifiche come il coming out ai figli/e, al coniuge o alla compagna/o, alla
famiglia di origine ma anche alla famiglia di costituzione e alla famiglia dell’altro/a. Spesso
il coming out all’altro genitore sfocia in separazioni e divorzi e quindi c’è questo momento
molto delicato da affrontare.
In particolare RGR è stata sin dalla sua fondazione una delle prime se non la prima
associazione ad occuparsi anche delle perosone trans* genitori, come si può vedere da
questo convegno tenuto proprio a Genova nel 2012 ed in cui si sono potuti
incontrare per la prima volta diversi genitori trans* italiani.
Da questo incontro si è creata una rete informale di genitori trans* che si tenevano in
contatto tra di loro tramite mail e telefono (e anche visitandosi a vicenda) per darsi
sostegno reciproco.
Si capisce come mai RGR sia stata la prima associazione a raccogliere le istanze dei
genitori trans, dal momento che siamo nel 2012 e quindi pre sentenza del 20 Luglio del 2015 n15138 in cui la Corte di Cassazione dichiara inammissibile l’obbligo di sottoporsi a sterilizzazione per avere i documenti rettificati per le persone trans che ne facciano richiesta.
Perchè di questo si trattava, di una vera e propria sterilizzazione forzata.
Visto questa premessa era giocoforza che i genitori trans* presenti in Italia allora erano
tutte persone che avevano avuto figli/e prima della transizione e prima del coming out e
quindi ricadevano nel focus di RGR.
Oltre alla violenza della sterilizzazione sulle persone trans* per impedirgli di diventare
genitori, in Italia, agli inizi della 164, nel 1982, abbiamo assistito anche alla violenza dei
giudici verso le persone trans* che avevano già figli.
Ad esempio in una sentenza del tribunale dei minori di Torino (20 Luglio 1982) disponeva
l’allontanamento del padre in quanto persona trans, per proteggere i minori “dalle
mostruose ripercussioni della metamorfosi sessuale” e questa era anche la prassi consigliata dai medici
Queste “mostruose ripercussioni” erano individuate sopratutto da tre assunti:


1° che i figli delle persone trans* possano ricevere un danno psichico importante dalla
frequentazione del genitore transizione
2° che siano confusi rispetto alla loro identità di genere
3° che le persone perdano le capacità genitoriali con la transizione.

Nel 2015, per un seminario all’università di Verona sulla genitorialità trans, che fu anche quello un punto importante per le genitorialità trans in Italia, perché per la prima volta dei genitori trans parlavano dell’argomento in una Università, mi resi conto che nei 40 anni precedenti c’erano state solo 7 ricerche sulla genitorialità trans e sull’adattamento dei figli/e alla transizione di un genitore.
Queste ricerche mostravano sia che i genitori trans* non erano così rari come si pensasse
e sopratutto che quei tre assunti per cui i genitori trans venivano considerati “deleteri” per i
propri figli/e erano puri pregiudizi transnegativi, senza alcun fondamento e i ricercatori
consigliavano che i giudici conoscessero queste ricerche prima di emettere sentenze.
La resistenza e la violenza contro la genitorialità delle persone trans* nella nostra società
trova fondamento nella sua costruzione di genere binaria, per cui devono esistere solo due
generi e i genitori trans vengono a trovarsi nella posizione pericolosa di poter mettere in
discussione questa binarietà e quindi sono avvertiti come disturbanti di un ordine
prestabilito.
Ma proprio perché la costruzione di genere è culturale e quindi varia a seconda delle
culture umane, lì dove non c’è uno stretto binarismo di genere e sono contemplati più di due generi, anche le persone che hanno un genere diverso dal maschile e femminile biologico, ricevono o
ricevevano (in quanto la nostra cultura e la nostra colonizzazione ha avuto un impatto
devastante su alcune di queste culture) un diverso riconoscimento e un ruolo sociale,
anche nei confronti del ruolo genitoriale.
Ad esempio l’antropologo Walter Williams, nel suo libro The Spirit And the Flash racconta
di come le persone “gender non conforming” delle tribù nord americane che lui chiama con
il nome generico Bardache, anche se avvertito del fatto che era un nome offensivo dato
dai coloni e non un nome riconosciuto dalle tribù nord americane, erano considerate delle
ottime educatrici e spesso adottavano bambini/e.
La genitorialità delle persone trans* che abbiano avuto figli/e prima di transizionare è ora
garantita dai diritti acquisiti con la filiazione pre/transizione e con il diritto del figlio/a alla
bigenitorialità ma ci sono delle problematiche da affrontare, come il coming out ai figli/e, la
relazione con le famiglie di origine propria e dell’altro genitore e i rapporti con le istituzioni
e lo stigma ancora molto presente verso le persone trans* ed in particolare contro i genitori
trans. Io per esempio mi sono sentito dire molte volte che il mio essere transgender poteva essere tollerato ma era inconcepibile che io avessi fatto due figli nella mia condizione e che avessi transizionato nonstante fossi madre. I problemi sono anche nella burocrazia e nelle modulistiche: ad esempio le modulistiche da compilare in cui vengono riportati i campi “madre” e “padre” e che magari un uomo trans genitore deve compilare al campo contrassegnato come “madre”, suscitando richieste di spiegazione e coming out forzati, spesso anche il luoghi non avvertiti come sicuri dalla persone trans.
Oppure nel caso della carta di identità del figlio/a minorenne il padre trans, con nome e codice fiscale maschile, è sempre indicato nel campo “madre”. (Posso raccontare quando ho fatto la carta di identità a mia figlia e quando ho fatto la richiesta del medico di famiglia per mia figlia). Ma cosa succede quando una persona che è già in transizione vuole diventare genitore? Ne abbiamo parlato in una guida uscita recentemente in Italia, che segna un altro punto importante per il dibattito sui diritti riproduttivi nel nostro paese. Che le persone transgender non vogliano e non possano avere un desiderio di genitorialità è una falsa narrazione che già da anni viene messe discussione anche nella comunità dei/delle professioniste che si debbano occupare dei percorsi delle persone trans.
Già nella penultima versione degli Standards of Care (la 7°, ora è da poco uscita l’8°)
redatti dal WPATH (The World Professional Association for Transgender Health) troviamo scritto:

“Molte persone transgender, transessuali e di genere non conforme vogliono avere figli.
Poichè la terapia ormonale femminilizzante/mascolinizzante limita la fertilità, è auspicabile
che i pazienti prendano decisioni riguardanti la fertilità prima di iniziare la terapia ormonale
o di sottoporsi ad intervento chirurgico per rimuovere / modificare i propri organi
riproduttivi. Sono noti casi di persone che hanno ricevuto la terapia ormonale e chirurgica
dei genitali e poi si sono pentiti per la loro incapacità di procreare bambini geneticamente
propri. Gli operatori sanitari, tra cui i professionisti della salute mentale che raccomandano
la terapia ormonale o l’intervento chirurgico, i medici che prescrivono ormoni ed i chirurghi,
dovrebbero discutere le opzioni di riproduzione con i pazienti prima di iniziare i trattamenti
medici per la disforia di genere. Queste discussioni dovrebbero verificarsi anche se i
pazienti non sono interessati a questi problemi al momento del trattamento, il che può
essere più comune per i pazienti più giovani”
Nella ultima versione degli Standards of Care viene ribadito con ancora più forza (e più
letteratura alle spalle, sopratutto grazie alle esperienze accumulate dalla comunità
transgender) questa raccomandazione e migliorato anche il linguaggio, meno
patologizzante e che riporta giustamente la possibile volontà di una persona transgender
di diventare genitore a una dimensione universale dell’essere umano:
“Tutti gli esseri umani, incluse le persone transgender, hanno il diritto riproduttivo di
decidere se avere o no dei figli. I trattamenti ormonali necessari al percorso di
affermazione di genere e gli interventi chirurgici che alterano l’anatomia degli organi
riproduttivi o la loro funzione possono limitare le future opzioni riproduttive.
E’ quindi assolutamente necessario discutere dei rischi di infertilità e delle opzioni di
preservazione della fertilità con le persone transgender e le loro famiglie prima di iniziare
questi trattamenti e durante lo svolgersi del trattamento stesso” (trad. mia)
L’ultima frase della raccomandazione del WPATH del 2012 che ho riportato mi ricorda
quanto diversa invece era l’esperienza in Italia e le prassi dei protocolli che venivano qui
seguiti.
Durante una mia formazione sulla genitorialità trans* che feci già nel 2014 per sportellisti e
addetti alla accoglienza di un centro dove si seguivano percorsi di affermazione di genere,
fui avvicinato da dei giovani uomini trans, già in lista per l’operazione di isterectomia, anzi vicini a farla, che mi hanno ringraziato per aver parlato di questo argomento, perché nessuno gliene aveva parlato. Dei ragazzi di 20 anni pronti a farsi sterilizzare per avere i documenti a cui nessun medico aveva parlato del loro possibile futuro desiderio di diventare genitore! Questo mi ricorda la disparità di trattamento riservato ad un organo quale l’utero, a seconda se appartenga ad una donna cis o ad un uomo trans. Molti anni fa, quando avevo circa 25 anni ed ero percepito come una giovane donna italiana, sana e senza figli, dovetti sottopormi ad una operazione per rimuovere dall’utero dei grossi fibromi. Allora lo staff medico che dovette eseguire l’operazione era molto preoccupato, e tesissimo affinché la cosa non accedesse, che potesse essere danneggiato l’utero e quindi la mia capacità riprocreativa, il mio futuro di genitrice. Alla visita di controllo il chirurgo potè rassicurarmi che l’operazione era andata bene, che il mio utero era salvo e mi intimò di rimanere incinta entro i sei mesi successivi! Anni dopo invece, quando affrontai il percorso in tribunale per la rettifica dei documenti, percorso che andò avanti per 5 anni e terminò proprio nel 2015, appena uscita la sentenza della cassazione, dovetti difendere con tutte le mie forze il mio utero, perché me lo volevano togliere per darmi i documenti, come da prassi consolidata. Il mio percorso in tribunale, così lungo proprio perché genitore trans, mi vide sottoposto
anche a due CTU, uno dei quali proprio per la mia volontà di mantenere l’utero.
L’endocrinologo a cui era affidato questa seconda consulenza cercò di convincermi della
necessità dell’operazione di rimozione della gonadi con una motivazione di salute: le ovaie

sotto testosterone diventano policistiche. Questa motivazione è stata propinata dai medici
per anni a tutti gli uomini trans in Italia per convincerli che la sterilizzazione fosse una
questione di salute, dove invece non c’è e non c’era letteratura scientifica che avallasse
questa equazione testosterone/ovaio policistico.
Quando lo feci notare al mio CTU, il medico allora cambiò argomento: l’operazione di
rimozione della gonadi era necessaria per sancire l’irreversibilità e la conclusione del
percorso.
Di fronte alle mie proteste, alla mia età (avevo superato i 40 anni), al fatto che avessi già
due figli, capitolò facendomi promettere che non avrei mai tentato di avere altri figli e di
fare operazioni di falloplastica mantenendo l’utero.
A questo punto vorrei proprio concentrarmi su questo caso particolare: una persona trans
che abbia iniziato già un percorso di affermazione di genere con una terapia ormonale
mascolinizzante e che voglia avere un figlio biologico.
Questo non per invisibilizzare altri casi (ad esempio delle donne transgender) ma perché
questo caso è emblematico per capire come gli ostacoli di tipo culturale e strutturale
impediscano a queste persone una serena pianificazione familiare.
Nella già citata settima versione degli standard di cura del WPATH del 2012 si leggeva:
“Le opzioni riproduttive per i pazienti FtM potrebbero includere il congelamento dell’ovocita
o degli embrioni. (…) Gli studi delle donne con sindrome dell’ovaio policistico
suggeriscono che l’ovaio può in parte recuperare dagli effetti provocati da alti livelli di
testosterone (2020). Una breve sospensione del testosterone potrebbe consentire alle
ovaie di recuprare abbastanza per ritornare ad ovulare, il successo dipende anche dall’età
del paziente e dalla durata del trattamento con testosterone. Anche se non
sistematicamente studiato, alcuni soggetti FtM stanno facendo esattamente questo, ed
alcuni sono stati in grado di iniziare una gravidanza e partorire un figlio”.
Da notare che i primi uomini trans* che si sono rivolti al loro endocrinologo per chiedere di
poter iniziare una gravidanza si sono sentiti rispondere che la cosa non era possibile, che
il testosterone gli aveva sterilizzati.
E’ stata proprio l’esperienza degli uomini trans* che hanno invece insistito nel loro progetto
di genitorialità biologica a decostruire questa falsa credenza della medicina.
Grazie a queste persone ora sappiamo quali siano i reali effetti del testosterone sulla
fertilità ma c’è ancora una forte dose di tabuizzazione di questo argomento in Italia ed è
anche per questo che abbiamo voluto fortemente pubblicare l’opuscolo sulla genitorialità
trans* in italiano.
Ora sappiamo che un effetto negativo del testosterone è da escludere (9° Slide, dal
libretto)
Con l’assunzione del testosterone i follicoli ovarici rimangono intatti. Nel momento in cui si
interrompe l’assunzione di testosterone, entro qualche mese ricomincia il ciclo.
Quindi una persona trans con utero può intraprendere una gravidanza sospendendo la
TOS, nel caso l’assumesse, anche attraverso un rapporto sessuale o attraverso
l’inseminazione intravaginale, il cosiddetto metodo della siringa o della pipetta.
Parliamo di questo casi per restare su un piano “casalingo”, DIY, perché è emblematico
che ci sia tanta invisibilizzazione anche di questi casi, senza bisogno poi di parlare di quei
metodi di PMA per cui c’è bisogno di rivolgersi ad una clinica specializzata. E quindi ad
una sovrastruttura più ampia.
Nel libretto sono stati evidenziati dei suggerimenti per affrontare la gravidanza per le
persone trans* in queste situazioni e per il personale sanitario che queste persone
dovrebbe seguirle.
Nella slide (XI) una illustrazione tratta dalla guida, donata dall’illustratore transgender
Isaah, che come l’altro illustratore Ari Rogialli ha donato le sue opere, come è stata donata
la traduzione, la grafica e la cura dell’edizione italiana.

Nel libretto vengono dati una serie di consigli su come affrontare la gavidanza rivolte alle
persone trans, perché questa guida è rivolta in primo luogo alle persone transe per noi è
una parte molto importante perché vogliamo che se ne parli in primis nella nostra comunità
e che le persone trans* sappiano quello che i loro corpi sono in grado potenzialmente di
fare, dal momento che per molto tempo la comunità medica ci ha dato informazioni
fuorvianti o addirittura errate, basate su dei preconcetti di femminilità e mascolinità.
Ma in questo contesto preferisco illustrare i consigli che sono dati alla comunità della
nascita (ginecologhi/e, ostertiche, doule, personale infermieristico), che devono accogliere
nella loro professione le persone trans* gestanti ed abbattere i loro pregiudizi e quelli del
loro ambiente per creare luoghi sicuri dove le persone trans* possano rivolgersi.
Creando questi luoghi si da la possibilità alle persone trans* di progettare una gravidanza.
Senza questi luoghi sarà molto difficile per una persona trans* prendere questa decisione
e di fatto si sancisce quasi una utopia. Come farà un uomo trans* a vivere una gravidanza
se non sa dove andare?
C’è bisogno di un lavoro culturale e di formazione che in Italia parte quasi da zero.
I consigli che vengono dati nel libretto sono i seguenti:

  • Considerate le persone trans* e non binarie consapevoli della loro identità
  • Riespettate il desiderio di genitorialità o la genitorialità dei/delle vostri/e pazienti trans e
    non binari
  • Utilizzate nomi, appellativi e pronomi indicati dai/lle pazienti stesse/i
  • distinguete tra interesse personale e medico
  • Agite molto delicatamente durante la visita
  • Organizzate spazi lontano da occhi indiscreti
  • Accordatevi sui temi da utilizzare per il corpo e i genitali
  • Aggiornatevi e consigliatevi per acquisire più sicurezza nel trattare con pazienti trans*

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