11 Marzo 2024
di Luka Ceraolo
Forse non tutt3 sanno che non si smette di essere trans* una volta raggiunta la maggiore età. Sembra una banalità ma da quello che si sente in giro sembra che le persone trans* siano esclusivamente minori o giovani (da torturare con bieca propaganda anti scientifica, ovviamente) e che una volta diventate adulte e “messa la testa a posto” smettano di esserlo. Non è così. Le battaglie per i diritti devono quindi essere trasversali e prendere in considerazione le singole esigenze legate alle singole fasce di età.
La “Carriera Alias” per studenti, tanto necessaria ma anche tanto criticata da chi non sa come altro distrarre il pubblico, non si ferma quindi alla scuola dell’obbligo ma deve arrivare anche in tutte le Università e raggiungere tutte le aziende e gli enti pubblici e privati che hanno o possono avere personale trans. Non sono rarissimi i casi di studenti universitari a cui era stata concessa la Carriera Alias durante gli studi che si sono poi trovat* nuovamente con il deadname in cartellino una volta cominciato a lavorare per la stessa Università, in qualsivoglia ruolo.
A gennaio 2024 è stato firmato definitivamente il “nuovo” CCNL del comparto Istruzione e Ricerca che, al punto 21 recita “Al fine di tutelare il benessere psicofisico di lavoratori transgender, di creare un ambiente di lavoro inclusivo, ispirato al valore fondante della pari dignità umana delle persone, eliminando situazioni di disagio per coloro che intendono modificare nome e identità nell’espressione della propria autodeterminazione di genere, le amministrazioni riconoscono un’identità alias al dipendente che ha intrapreso il 29 percorso di transizione di genere di cui alla legge n. 164 del 1982 e s.m.i. e ne faccia richiesta tramite la sottoscrizione di un Accordo di riservatezza confidenziale.”
Un enorme passo avanti, ovviamente, ma non tutte le scuole e università italiane hanno, al momento, un regolamento interno specifico per l’identità Alias dei dipendenti. Molto spesso capita che se non c’è una richiesta diretta da parte della persona interessata il regolamento non viene emanato.
Io sono stato assunto in una nota università pubblica italiana alla fine del 2019, a 41 anni suonati. I primissimi mesi sono stati di assestamento tra capire dove sarei stato effettivamente assegnato e ambientarmi in un nuovo mondo.
A febbraio 2020 sono stato assegnato a quella che è la mia attuale Area e a marzo 2020, beh, ci ricordiamo tutt* cosa è successo: il lockdown, lungo mesi, mi ha regalato una finta sensazione di calma, di avere tutto sotto controllo, di poter lavorare senza dover fare coming out. Tornare in presenza è stata una lenta tortura, non una doccia fredda improvvisa.
Ero davvero convinto (all’epoca non avevo ancora cominciato la terapia ormonale) di poter passare 8 ore circondato da persone che mi chiamavano con il nome “sbagliato” e, ancora peggio, con i pronomi sbagliati senza che questo avesse alcun effetto sulla mia persona. Mi sbagliavo, ovviamente.
La decisione di fare coming out sul posto di lavoro non è stata semplice, ma necessaria. Non la faccio troppo lunga perché l’argomento di questo pezzo è un altro, ma è andata bene. Ho ricevuto tanto supporto sia dai colleghi che dai miei diretti superiori. Era quindi solo uno il tassello mancante da un punto di vista prettamente lavorativo: l’identità Alias in attesa della rettifica ufficiale dei miei documenti. Non averla voleva dire non poter partecipare a progetti, seminari e convegni a nome della mia Area, a meno di non volersi presentare con il deadname che più passava il tempo meno “corrispondeva” al me interiore ed esteriore, non poter usare la propria email istituzionale e quindi, in generale, lavorare peggio. L’identità Alias per * lavorat* non è un favore per la persona, ma un enorme vantaggio per l’azienda e/o ente che è certa di aver dato tutti gli strumenti per lavorare al meglio e produrre al meglio.
Dalla mia prima email inviata al Comitato preposto a tali funzioni all’emanazione del regolamento è passato più di un anno e mezzo. Fatto di richieste di aggiornamenti, resistenze dall’altra parte, risposte più o meno vaghe, colloqui positivi ed entusiasmanti che facevano presupporre una soluzione rapida, e poi altre email, altre risposte, altro tempo. Sono stati mesi duri, sconfortanti.
Alla fine il regolamento è passato dopo la firma del CCNL. Le cose potrebbero non essere collegate o anche sì, non ci è dato saperlo. Quello che so con certezza è che la mia è stata l’unica richiesta in tal senso, una lunga battaglia solitaria con fortunatamente almeno un paio di orecchie ad ascoltarmi veramente “dall’altra parte” della barricata. Perché gli alleati servono e rendono meno penose le lunghe battaglie.
All’emanazione del regolamento ho inoltrato subito la mia richiesta e ieri, 8 marzo 2024, sono andato a firmare l’accordo di riservatezza in attesa che la persona “tutor amministrativa” che si occuperà oggettivamente del cambio di nome in cartellino provveda a farlo. È stato un momento emozionante che ho condiviso con il docente che più mi ha supportato in tutto questo ma, forse non ci crederete, la notizia più bella che ho ricevuto è stata che già un’altra persona che lavora nella mia università ha fatto richiesta e firmerà a giorni. La mia battaglia è stata solitaria, ma una volta arrivata a conclusione ha abbracciato e abbraccerà anche altre persone dando loro una possibilità che prima non c’era.
La morale di questa esperienza è che nessun diritto viene calato dall’alto, ma bisogna chiedere, insistere, lottare. Anche per chi non può farlo. Che ogni volta che ci ritroviamo con i diritti già belli e pronti dobbiamo sempre pensare che c’è chi ha lottato per averli qualsiasi cosa un governo o un’azienda, pubblica o privata, voglia far credere.
Quindi se sei un* docente o un* dipendente scolastic* o universitari, chiedi che venga emanato un regolamento per l’identità Alias delle persone trans che lavorano nella tua struttura. Anche se questa persona non sei tu. La cosa bella dei diritti è che possono essere chiesti e pretesi da tutt* e alla fine, sono per tutt*.