18 Dicembre 2023
Gli Argonauti di Maggie Nelson (Il Saggiatore, 2016) è un libro queer sulle relazioni, un libro su come può essere queer la maternità e la genitorialità.
“Voglio che tu sappia che ti abbiamo creduto possibile” scrive Maggie Nelson al figlio Iggy “In un amore a volte sicuro dei propri mezzi, a volte scosso dallo stupore e dal cambiamento (…) due animali umani, uno dei quali vive nella benedetta condizione del non essere né maschio né femmina, mentre l’altra è femmina (più o meno), hanno profondamente, tenacemente e selvaggiamente desiderato la tua esistenza”.
Di fronte al richiamo delle teorie queer antisociali a non produrre e a non riprodursi, Nelson sembra rispondere srotolando l’immensa complessità di due animali umani non etero normati che decidono di mettere al mondo un’altra persona e riflettere sulla queerness di un genitore trans* . Di più: chiedersi se ci sia “qualcosa di intrinsecamente queer nell’esperienza della gravidanza, data la sua capacità di alterare profondamente la condizione di una persona”.
Nelson si domanda anche se di fronte al “No Future” à la Edelmann non ci stiamo trovando di fronte “all’ennesima squalifica (…) di qualsiasi cosa venga associato troppo strettamente all’animale femmina”. E che dire poi se uno dei genitori non è né maschio e né femmina?
Per l’autrice le trasformazioni del corpo, la gravidanza, il parto, l’allattamento, il trattamento a base di testosterone del genitore trans*, la malattia, la morte, sono eloquenti e dirompenti quanto le teorie queer.
E la complessità e fluidità dell’esperienza di una genitorialità queer è resa anche dalla struttura (o non struttura) di questo testo di un’ aulica e insieme sporca bellezza e sapienza di scrittura.
Apparentemente si potrebbe dire che questo libro parla della relazione tra un’affermata scrittrice femminista statunitense con un artista transgender e della loro famiglia composta dal figlio di lui e dal figlio che i due decidono di avere assieme attraverso una donazione di seme.
Una coppia che ad uno sguardo esterno (destino di tante coppie con persone trans*) potrebbe essere presa per una coppia cis etero ma al cui interno scorrono invece inarrestabili flussi di cambiamento:
“A livello superficiale , era possibile che il tuo corpo desse l’impressione di diventare sempre più “maschile”, mentre il mio sempre più “femminile”. Dentro, però, non era così che ci sentivamo. Dentro eravamo due animali umani che stavano affrontando una trasformazione fianco a fianco, utilizzandosi a vicenda come testimoni incidentali. In altre parole, stavamo invecchiando”.
Nelson ha il coraggio di entrare con il suo stesso corpo, e con quello del compagno, dentro alle critiche di omonormatività di un progetto genitoriale e nello stesso tempo smantellare un’ altra categoria tanto cara alla società occidentale: quella della fissità.
Tutto cambia e si trasforma, che ci piaccia o no, e non solo i corpi delle persone trans*.
E testimoni di questi cambiamenti, compagne, guide, a volte puntelli, sono le voci delle “madrine multigenere” dell’autrice, le cui parole sono inserite nel testo, come fossero carne del testo stesso.
Parole di pensatrici, scrittori, filosofe, pedagogisti che non sono uno sfoggio di cultura ma possibilità di apertura, a volte anche di incanto.
Il titolo “Gli argonauti”, che apparentemente niente ci dice sul contenuto del testo ed anzi potrebbe portarci fuori strada, viene spiegato dall’autrice come richiamo alla nave Argo, a cui venivano cambiati i pezzi senza che gli venisse cambiato nome, quindi come ulteriore richiamo alla tensione tra la stabilità di una identità e il suo destino di fluire e di cambiare.
Ma centrale nel mito degli argonauti era anche la presenza di un filo e il testo di Nelson è fatto proprio di fili, di fili che si intrecciano lungo un arco di 20 anni.
E questi fili sono sopratutto fili di relazioni che sembrano non spezzarsi ma intrecciarsi e annodarsi, anche in maniera dolorosa, nella danza della nostra vita.
Per me, uomo trans madre di due figli, è stata una intima e commovente rivelazione il leggere che anche l’autrice ha “questa incapacità di dire alla propria madre che la si ama quando è proprio quello che si vorrebbe fare“:
“perché continuo a smantellarla, quando quello che vorrei esprimere, più di ogni altra cosa, è che la amo moltissimo?
Egon Botteghi