6 Febbraio 2011
di Susanna Lollini avvocata
Come non si “guarisce” dall’omosessualità – checché ne dicano i sostenitori delle teorie riparative – così non si “diventa” omosessuali. Non si tratta certamente di stabilire se l’omosessualità sia una questione genetica o meno, cosa peraltro irrilevante sotto certi aspetti. Si tratta piuttosto di prendere atto che prima di arrivare a riconoscere, ammettere, accettare di essere omosessuali si deve fare un lungo cammino, nella speranza che quelle “emozioni”, quell’irresistibile attrazione possa essere archiviata come esperienza “giovanile”, sia solo un caso, un incidente di percorso, una fase dello sviluppo, qualunque cosa, ma non la propria realtà!
A volte si vogliono dei figli e se adesso è possibile averli – anche se difficile – magari ricorrendo a complesse procedure di procreazione assistita, un tempo non era neppure pensabile una via alternativa al matrimonio per averne. In ogni caso è esperienza assolutamente precoce che la nostra società non legittima alcun desiderio fuori da certi schemi “etero-coatti”.
Così può capitare di trovarsi a distanza di anni al punto di partenza, con il ripresentarsi (a volte puntuale) di certi “casi” o “incidenti” che ormai non possono più attribuirsi allo sviluppo adolescenziale/giovanile, sposati e magari con un paio di figli.
In questi casi la prima paura, invariabile e paralizzante, è che il proprio orientamento sessuale possa, se portato all’attenzione di un giudice, avere conseguenze immediate e dirette sul rapporto con i figli. La paura che il giudice che dovrà decidere della propria – eventuale – separazione possa ritenere il genitore omosessuale inidoneo a crescere ed educare i propri figli, magari ancora minorenni, e possa quindi decidere di sottrarglieli. E’ naturale allora farsi mille domande e avere mille dubbi, ma l’unica cosa saggia in questi casi è anche la più semplice: affrontare la situazione e rivolgersi ad un avvocato. Ormai ci sono associazioni e reti di riferimento nel mondo GLT assolutamente accessibili a chiunque, dunque la prima cosa da fare è cercare, informarsi, domandare a persone che possano dare informazioni qualificate e specifiche.
Infatti le risposte alla paure di qualunque genitore che intenda affrontare la propria separazione a “causa omosessuale” sono articolate e variabili, dipendono infatti da mille circostanze: se il proprio coniuge, lo sa o lo ha scoperto (e come); il tipo di reazione; la situazione economico/patrimoniale dei coniugi; se e quanto è ostile la famiglia di origine; infine anche come la pensa il Giudice.
Dunque non ci sono risposte che possano tranquillizzare a trecentossessanta gradi, ma a differenza di qualche anno fa cominciamo ad avere sentenze, emesse da giudici di merito (dunque non ancora di Cassazione), che affermano in modo esplicito l’assoluta irrilevanza dell’orientamento sessuale per valutare la capacità genitoriale. Questo significa che vi sono dei Giudici che, nei casi in cui la questione è stata posta alla loro attenzione in modo esplicito da uno dei coniugi, dovendo decidere dell’affidamento dei figli – nel frattempo stabilito dalla legge come “condiviso” a meno che non vi siano situazioni eccezionali – e dovendolo fare sulla base della accertata capacità di essere un “buon genitore”, hanno ritenuto che, su tale capacità, l’orientamento sessuale in sé e per sé non incidesse in alcuna misura.
Per quei Giudici, quindi, l’omosessualità del genitore rappresenta una variabile “indipendente” e dunque su quella base non si è ritenuta giustificata l’adozione di provvedimenti che escludessero l’affidamento di figli minori al genitore omosessuale (o presunto tale). Né è stata ritenuta giustificata la limitazione posta al genitore omosessuale di frequentare il/la propri* partner insieme ai figli. In alcuni casi si è specificato che il genitore omosessuale dovrà avere l’accortezza di non esporre i figli a situazioni inadatte alla loro età, né più né meno di quanto accade in qualunque separazione quando uno dei due genitori viene accusato dall’altro di avere uno “stile di vita” giudicato “non consono” a dei minori o quando la separazione ha avuto origine da una relazione extraconiugale di uno dei due poi divenuta stabile. D’altra parte in alcuni casi si è formalmente autorizzato il genitore omosessuale a rendere noto il proprio orientamento sessuale ai figli – non ancora informati in modo esplicito – adottando le cautele del caso in ragione dell’età dei figli e della conflittualità della separazione, se necessario ricorrendo all’aiuto di qualche psicologo. In buona sostanza i Giudici hanno magari raccomandato – come sovente accade in questa materia – ai genitori di non confondere i loro stati emotivi legati alle difficoltà della separazione con gli interessi dei minori, ma, per quel che è dato dedurre dalle sentenze pubblicate in materia fino ad ora, non pare che l’orientamento sessuale di un dei genitori abbia dato luogo a provvedimenti ad esso sfavorevoli, di nessun genere.
Questo non equivale (ancora) ad un orientamento pacifico o consolidato, come si dice in questi casi. Vi possono infatti essere sentenze sfavorevoli al genitore omosessuale che non sono state pubblicate, oppure in cui un provvedimento sfavorevole è stato evitato solo a prezzo di pesanti rinunce od omissioni da parte del genitore omosessuale. Non possiamo ovviamente saperlo con certezza. E’ comunque confortante sapere però che vi sono almeno dei precedenti positivi cui fare riferimento e da indicare come tali al Giudice della propria causa, se necessario. E’ più di quanto vi fosse solo una decina di anni fa!
Sul piano normativo e giurisprudenziale dunque il punto ad oggi è questo: l’attuale legge in vigore in tema di affidamento prevede che esso sia “condiviso” vale a dire riconosciuto ad entrambi i genitori. L’affidamento esclusivo ad uno solo di essi deve essere invece un’ipotesi eccezionale, che si verifica solo se sussistono gravi e comprovati motivi, vale a dire: l’inaffidabilità di uno dei genitori, che renderebbe controproducente per il minore un affidamento condiviso, laddove l’affidamento al solo genitore che lo richiede costituirebbe invece la scelta in grado di realizzare il migliore interesse del minore. Si tratta quindi di una doppia condizione che, in caso di controversia (scontata in sede di eventuale separazione giudiziale) dovrà essere valutata dal giudice facendo ricorso alla consulenza di un perito in materia. Si tratta della c.d. Consulenza Tecnica di Ufficio (CTU) che il Giudice affida di norma ad un* psicolog* o a un* neuropsichiatra infantile di sua fiducia che – affiancato eventualmente da un Consulente Tecnico di Parte (CTP) scelto da ciascuno dei genitori – dovrà valutare appunto la capacità genitoriale delle parti in causa anche sentendo – ove possibile e con le modalità adeguate alla loro età – i minori interessati.
La consulenza può essere più o meno lunga e complessa a seconda dei casi (se ci sono problemi o resistenze da parte di uno dei soggetti coinvolti o se la separazione è particolarmente conflittuale), ma finora non ha mai evidenziato che l’orientamento sessuale di un genitore in sé e per sé incida in qualche modo sulla sua capacità genitoriale, o in senso lato educativa. Men che meno che la comprometta o la escluda. In particolare non ha mai evidenziato che comprometta in qualche modo la relazione affettiva con il figlio.
Dunque non ci sono ragioni perché una madre lesbica o un padre gay debba temere di affrontare la valutazione del CTU. Potrà essere un genitore “imperfetto”, ma esattamente nella stessa misura in cui lo è (o può esserlo) qualunque genitore etero. In genere i problemi dei figli, se e quando ci sono, non derivano dall’orientamento sessuale di uno dei genitori in sé e per sé. Piuttosto possono derivare dalla conflittualità tra i genitori prima o durante la separazione, in relazione o meno che sia con quell’orientamento sessuale o con la causa della separazione; o dalle reazioni “omofobe” del coniuge o delle famiglie, che possono coinvolgere (magari proprio nel tentativo di provocare prese di posizioni e schieramenti pro o contro) i figli. Possono addirittura essere la conseguenza di un forte senso di colpa proprio del genitore omosessuale o della sua omofobia interiorizzata (e dunque inconsapevole). Insomma è più facile che i problemi dei figli derivino dalle difficoltà dei genitori ad affrontare serenamente la questione “omosessualità” (per paura o vergogna o sensi di colpa in generale) piuttosto che dall’orientamento sessuale del genitore in sé e per sé.
Se dunque la CTU confermerà che un genitore resta un buon genitore anche se omosessuale, come di norma accade, la conclusione non potrà che essere in favore di un affidamento condiviso ad entrambi i genitori. A questa conclusione di norma il Giudice si atterrà ritenendola la soluzione migliore per i minori, ignorando le eventuali richieste di uno dei coniugi di affidamento esclusivo basato proprio sull’orientamento omosessuale dell’altro.
E’ bene chiarire una questione su cui spesso si crea molta confusione: ciò di cui vi ho parlato fino ad ora riguarda l’affidamento dei figli. Vale a dire come e da chi – di comune accordo tra i genitori o da uno solo di essi – devono essere prese tutte le decisioni che riguardano la crescita e l’educazione dei figli Altra cosa è il loro “collocamento” – vale a dire dove in figli vivranno stabilmente – che, per motivi più che evidenti, dovrà essere presso uno dei due genitori, non potendo essere “contemporaneamente” presso entrambi.
Naturalmente i problemi possono riguardare sia l’affidamento che il collocamento e così è di norma quando la separazione è particolarmente conflittuale a causa della omosessualità di uno dei genitori. E’ ovvio però che la decisione del Giudice relativa all’affidamento si ripercuoterà su quella relativa al collocamento: se l’orientamento sessuale del genitore non incide sulla sua idoneità ad essere un buon genitore non c’è ragione di allontanare i figli da lui/lei, sia che si tratti di prendere le decisioni sia di vivere con loro. In questo caso le decisioni rientrano nella normalità di ogni separazione: affidamento condiviso, collocamento (di regola) presso la madre.
Ad oggi infatti il collocamento resta ancora in prevalenza presso la madre, avendo il padre, in genere seppure non sempre, maggiori difficoltà ad organizzarsi per tenere i figli presso di sé. Anche questo dipende ovviamente da altre condizioni (e una serie di situazioni discenderanno per conseguenza da questo): di chi è la casa coniugale, il lavoro dei due genitori, i loro redditi, la situazione patrimoniale, la resistenza del padre a corrispondere alla madre un assegno di mantenimento per i figli. Più facilmente che in passato i padri sono disponibili e capaci ad assumersi le responsabilità quotidiane per i figli e dunque può capitare che si arrivi ad un collocamento a giorni alterni presso l’uno o presso l’altro.
Le soluzioni astrattamente possibili sono più d’una e la cosa migliore è riuscire a decidere con serenità nell’interesse dei figli, valutando cosa è meglio per loro: spesso i figli si dimostrano assai più capaci degli adulti di adeguarsi dal punto di vista organizzativo, se questo non provoca nuova e maggiore conflittualità tra i genitori.
Anche in questo caso, comunque, la cosa da non dimenticare è che sull’interesse dei figli non incide l’orientamento sessuale dei genitori e che i sensi di colpa non sono mai buoni consiglieri.
Inutile dire che se i genitori riusciranno a trovare tra loro un accordo, questo consentirà di trovare la soluzione più vicina al loro interesse e a quello dei figli di quanto non potrà mai essere una decisione d’autorità da parte del Giudice. L’aiuto di un buon avvocato con cui possiate parlare in piena serenità – senza temere di nascondere a lui/lei qualcosa che invece è necessario che il vostro avvocato sappia, indipendentemente dall’uso che potrà esserne fatto nel corso della causa in Tribunale – è di grande aiuto. Ce ne sono molti assolutamente “friendly”, trovatene uno, trovatene soprattutto uno che non vi faccia sentire in colpa, ma che sappia sostenere le vostre ragioni, con equilibrio e pacatezza, ma con decisione.
Quanto detto finora vale a dare un’indicazione, sia pure a grandi linee, di quello che potrebbe accadere davanti ad un Giudice nel caso di una separazione giudiziale. Se infatti si trova un accordo per la separazione consensuale, le condizioni vengono stabilite direttamente dai due coniugi, e dai loro legali, ed il Tribunale si limita a ratificarle dopo aver verificato che non contrastino con l’interesse dei minori.
Non è escluso che la soluzione che non si è riusciti a trovare in un primo momento, possa essere raggiunta successivamente e che una separazione nata come giudiziale non possa trasformarsi, magari grazie anche all’aiuto del Giudice, in una consensuale, ma in linea di principio vale la pena perdere qualche mese in più per cercare una soluzione concordata piuttosto che iniziare una separazione giudiziale. D’altra parte sono anche convinta che in qualche caso sia meglio correre qualche rischio affrontando una separazione giudiziale (sempre convertibile in consensuale cammin facendo) piuttosto che subire condizioni eccessivamente penalizzanti o mortificanti magari proprio facendo leva sui sensi di colpa o sulla paura di affrontare un giudizio. Insomma: buon senso, equilibrio, ma non una resa incondizionata!
Questo dovrebbe servire a sgomberare il campo da molte preoccupazioni che spesso paralizzano un genitore omosessuale e lo inducono a rinviare una decisione altrimenti inevitabile. Spero soprattutto serva a tranquillizzare coloro che spesso non hanno neppure il coraggio di rivolgersi ad un legale per sapere cosa comporta nel bene e nel male chiedere una separazione. La prima cosa da fare invece in casi come questi sarebbe proprio l’informazione preventiva, perché questa permette a ciascuno di valutare con l’aiuto di un legale di fiducia la propria specifica e particolare situazione, prendendo le decisioni e facendo i passi che possano portare ad una separazione se non indolore – perché indolori purtroppo non lo sono mai – almeno non traumatica, sia per voi che per i figli.
Sotto questo profilo infatti la difficoltà più grande che le donne che fanno parte del gruppo Le Fenici – un gruppo nato tra madri lesbiche con figli da precedenti relazioni eterosessuali e le loro compagne – hanno verificato confrontandosi su questi argomenti è proprio quella di non farsi bloccare dalla paura dovuta principalmente ai sensi di colpa. Tutti quelli che si separano – le donne in particolare – li provano, sia chiaro, per il semplice fatto di sentire il peso della responsabilità di “far fallire” un matrimonio. Se è sempre vero che la responsabilità non è mai solo di una parte, ma in genere equamente condivisa dai due coniugi, in questo caso certamente incide la convinzione di essere “colpevoli” per il proprio essere omosessuali. Convinzione in qualche misura rafforzata dal rendersi conto di aver intenzionalmente (e a volte pervicacemente!) ignorato tutti gli avvertimenti che pure si erano avuti prima del matrimonio.
Questa convinzione è spesso fondata, ma certo non vi aiuterà ad affrontare nel modo migliore la situazione. Se è vero che spesso potevate capire che il matrimonio non era esattamente la vostra strada, non è affatto escluso che tutto l’ambiente circostante, famiglia, parenti, amici l’intera società vi abbiano fortemente condizionato in questa direzione. In ogni caso è bene ricordare che continuare ad ignorare qualcosa che si fa sentire forte dentro di voi non è utile a nessuno. Alla fine correte il rischio di fare inconsapevolmente qualcosa che costringa gli altri a scegliere per voi. Questa sarebbe la cosa più sbagliata. E’ sempre preferibile decidere che subire.
In definitiva, ricordatevi che è importante prepararvi psicologicamente ad affrontare una separazione esattamente come fareste per qualunque evento rilevante della vostra vita.
Avere paura è inevitabile, ma se induce ad essere prudenti senza essere paralizzante non è detto che sia una cosa negativa, e certo non potete pensare che non porti con sé del dolore, ma pensate che è una scelta che fate per la vostra vita, perché sia migliore, più serena, più libera, più rispettosa del vostro modo di essere e di sentire. Dunque fatela con consapevolezza, un po’ di coraggio, ma di sopratutto con decisione.
Avv. Susanna Lollini